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Economico sindacale ambientale

Boselli: "Efficientare le aziende per migliorare sostenibilità e ambiente"

Audizione alla commissione ambiente della Regione su emissioni

Antonio Boselli

Per una maggiore sostenibilità ambientale occorre efficientare gli allevamenti

Antonio Boselli, presidente di Confagricoltura Lombardia, ha partecipato ad una audizione della 6° commissione di Regione Lombardia sul tema delle emissioni in atmosfera e più in generale sui rapporti tra agricoltura ed ambiente.

E’ stata una bella e costruttiva occasione di dialogo, ha detto Boselli al termine dell’incontro. Soprattutto perché ci siamo resi conto che molti consiglieri regionali membri della commissione, per loro stessa ammissione nel corso dell’incontro, sapevano veramente molto poco delle peculiarità del mondo agricolo e dei problemi connessi alla gestione di reflui e alle emissioni in atmosfera. E per questo ci hanno anche ringraziato. Di sicuro è stato stabilito un contatto importante certamente propedeutico ad azioni normative di Regione Lombardia su questi temi. Confidiamo pertanto per il futuro un maggiore coinvolgimento nei processi decisionali regionali”.

Di seguito riportiamo una sintesi dell’intervento del presidente Boselli.

Sulla proposta del Piano di azione sulle emissioni che ci è stata inviata devo precisare che gli agricoltori hanno fatto dei notevoli passi avanti in termini di riduzioni di emissioni, almeno del 25%. Se si considera poi che negli ultimi 30 anni abbiamo aumentato di circa il 25% le produzioni, significa che, se le emissioni sono diminuite del 25% in totale, per chilo di produzione siamo arrivati ad una riduzione del 50% di emissioni. Quindi, lo sforzo fatto e che stiamo facendo è veramente importante.

Anche in considerazione del fatto che in agricoltura, come in ogni attività produttiva, le emissioni si possono ridurre ma non eliminare, primo perché abbiamo a che fare con organismi viventi; animali e vegetali e poi perché le tecniche produttive di cui disponiamo oggi sono ancora basate sui combustibili fossili. Ma a differenza delle altre attività produttive l’agricoltura, oltre ad “emettere” contribuisce anche ad “assorbire” emissioni proprie ed altrui.

Di certo fatichiamo ad inseguire limiti sulle emissioni sempre più bassi; e oltre un certo livello non si può scendere, almeno con le tecnologie attuali. Comprendiamo bene i “motivi di salute”, però per noi è un continuo rincorrere questi limiti e in certi momenti facciamo veramente fatica nel cercare di rimanervi dentro. Siamo comunque, lo ricordo, l’unica attività che rigenera l’ambiente, perché con le nostre coltivazioni emettiamo ossigeno e catturiamo CO2 dall’ambiente, immagazziniamo carbonio nei suoli coltivati e dobbiamo continuare a farlo sempre di più, anche per aumentare la sostanza organica nel terreno.

Dopo queste premesse, andiamo su aspetti contingenti, reali, possibili e a costi accessibili per gli agricoltori; ad esempio sulla copertura vasche dei liquami e sugli interramenti.

Per il primo aspetto è bene non insistere sulle coperture fisse dei vasconi di stoccaggio in quanto molto costose; meglio affidarsi a coperture molto più semplici, ma altrettanto efficaci, e concentrarsi di più nella fase di spandimento. Perché é lì il maggior livello di emissioni.

Per limitarle bisogna favorire l’uso dei reflui in impianti di biogas o di biometano, in questo modo si può “catturare” il metano prodotto dagli allevamenti risolvendo due problemi: da un lato la riduzione degli inquinanti come il metano e dall’altro la produzione di energia rinnovabile. Ricordiamo che questi impianti producono energia 24 ore su 24, 365 giorni l’anno. Quindi il primo suggerimento pratico è di abbinare impianti per il biogas, e favorire l’aggregazione degli agricoltori con impianti comuni, gestiti in cooperativa.

Nella mia azienda lo abbiamo fatto 15 anni fa, è un’esperienza assolutamente positiva. Anche adesso che gli incentivi volgono al termine, continueremo comunque a produrre biogas, dal cui ciclo produttivo si ricava il digestato, utilissimo per le concimazioni.

A questo proposito confidiamo in una revisione delle norme che regolano la “Direttiva nitrati”, primo perché siamo in infrazione, e l’utilizzo dei reflui ci è indispensabile e poi perché i concimi chimici sono entrati in un giro di enormi problemi commerciali, con dazi, disponibilità e divieti  troppo dipendenti dalle crisi geo politiche in atto. I reflui in abbinamento agli impianti di biogas ci servono per efficientare gli allevamenti ed essere più sostenibili.

Processi per i quali è utile ricordare il ruolo dell’assistenza tecnica pubblica, il che non significa gratuita, ma indipendente. Ed è una richiesta che rivendico come Confederazione.

Gli esempi di successo non mancano. Negli anni 90 gli agricoltori lombardi hanno potuto compiere un grosso salto qualitativo. Era stato attivato un piano di assistenza tecnica agli allevamenti (prima piano contro l’ipofecondità bovina e poi Sata. Era basato sulla cooperazione di due professionisti:  un agronomo e un veterinario che seguivano le aziende, e le aiutavano nella gestione, sia da un punto di vista agronomico che da un punto di vista veterinario. I risultati sono stati notevoli sia in  quantità che in qualità delle produzioni.

Oggi manca un servizio di questo genere. Sarebbe indispensabile per formare gli agricoltori sull’uso delle tecniche meno invasive e per un miglior approccio verso le nuove tecnologie innovative, non solo per il contenimento delle emissioni, ma anche per un miglioramento della gestione aziendale.

Sulle questioni del cambiamento climatico e della sostenibilità, un paio di considerazioni. La prima, gli agricoltori sono le prime vittime del cambiamento climatico basta pensare ai disastri causati da alluvioni e siccità. La seconda: la sostenibilità costa e l’Italia non è autosufficiente per i prodotti alimentari, acquistiamo dall’estero per un 30/35% delle nostre necessità, spesso da Paesi dove non vengono rispettate le norme ambientali cui siamo sopposti.  Non possiamo competere se non c’è un principio di reciprocità con questi Paesi. Ci viene chiesto di avere dei costi superiori per rendere le nostre aziende più sostenibili, va bene. Chi li paga? La Pubblica Amministrazione? Restano in capo solo all’agricoltore? C’è il consumatore che può darci una mano, è disponibile a pagare di più per un prodotto che è più sostenibile perché è italiano? Solo una parte minoritaria dei consumatori è disponibile a questo ragionamento.

Vorrei poi introdurre un altro tema, la gestione dei boschi e le connessioni con l’agricoltura e l’ambiente. L’Italia è ricca di zone montane e collinari, in cui potrebbe essere utile produrre legname, come in passato. Ne abbiamo molte anche in Lombardia. Il problema è garantire per i boschi una corretta gestione.

Viviamo il paradosso che le superfici boscate stanno continuando ad aumentare in percentuali consistenti tutti gli anni, ma si tratta di boschi che non danno reddito perché si sviluppano sui terreni abbandonati, dove cresce questa “boschina” alta pochi metri, molto fitta, utile per gli animali selvatici che portano danni all’agricoltura. Non abbiamo boschi con piante che possano dare reddito, se non la pioppicoltura di pianura. Siamo tra i principali produttori di mobili e non abbiamo il legname adatto, lo importiamo per il 90% dall’estero. Questa è un paradosso che andrebbe eliminato: la corretta gestione dei boschi può portare reddito, può tenere le persone sulle Alpi, le Prealpi, e sull’Appennino contribuendo in modo significativo anche alla cura e manutenzione del territorio.

 

 

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