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Emergenza PSA
04.03.2024 - 10:44
Rudy Milani, presidente della sezione suini di Confagricoltura
Il convegno che si è svolto nei giorni scorsi a Cremona sul tema del futuro della suinicoltura ha dato lo spunto per parlare, tra i tanti problemi che gravano sul settore, della situazione sul tema della PSA - peste suina africana- che ormai da due anni sta tenendo sotto pressione l’intero comparto.
L’intervento introduttivo sul tema è stato fatto da Loris Giovanni Alborari veterinario dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale di Lombardia ed Emilia Romagna con sede a Brescia. Vecchia conoscenza degli allevatori di suini per tutte le implicazioni di carattere sanitario che questo genere di allevamento comporta.
“La Psa, ha detto Alborali, comporta una serie di implicazioni enormi e può essere definita la madre di tutti i problemi tanto che sta inducendo più di un allevatore a porsi la domanda se chiudere o proseguire nell’attività. E’ una malattia lenta e inesorabile che non perdona e che in questo momento viaggia principalmente insieme alla diffusione dei cinghiali selvatici. In totale sono stati già riscontrati 1.648 casi nei cinghiali, 112 casi a Pavia e provincia che è stata chiusa per diversi mesi mettendo in grave difficoltà gli allevatori del posto; attualmente sono stati trovati 40 casi positivi a Piacenza e 12 a Parma, sull’appennino; e la zona di Langhirano, patria del prosciutto di Parma, è vicina, molto vicina. Il rischio di una sua ulteriore diffusione è enorme e per scongiurarlo richiede uno sforzo enorme da parte degli allevatori e dalla società intera”.
Il punto di vista e le preoccupazioni degli allevatori sono state esposte da Rudy Milani Presidente della sezione Suini di Confagricoltura che, al termine degli interventi programmati, in sede di discussione ha puntualizzato come una serie di eventi premonitori non siano sono stati tenuti nella debita considerazione. “Come allevatore e come rappresentante della categoria, ha detto Milani, devo dire che fin dall’inizio della diffusione della PSA, la sensibilità a livello centrale delle istituzioni è stato pari a zero o poco più. Le prime avvisaglie riscontrate sull’appennino ligure- piemontese avrebbero meritato ben altra attenzione. In seguito è scoppiato il caso a Pavia Con 200 000 maiali coinvolti e l’intera provincia bloccata per mesi. La diffusione è proseguita sul piacentino e ora siamo arrivati nel parmense, la culla del prosciutto crudo, da non dimenticare anche il coinvolgimento di alcuni comuni di Lodi e Milano”.
Si è chiesto, e ha chiesto, Milani: ”Ora cosa succede nelle zone colpite? La carne di suino che proviene da quelle aree non la vuole nessuno e si fatica a trovare i macelli; l’unica possibilità in essere è quella di trasformarla con la cottura, ma il prezzo a cui venne ritirata è al di sotto dei costi di produzione che ammontano a 1,58 euro al chilo”.
Dunque, la situazione è estremamente critica come è stato sottolineato dai numerosi interventi degli allevatori presenti in sala, in particolare di quelli provenienti dalla provincia di Pavia bloccati per mesi e alle prese con i ritardi nell’erogazione degli indennizzi per i danni indiretti.
L’unica arma in mano agli allevatori è quella di attivare tutte le forme possibili legate alla biosicurezza aziendale facendo in modo di limitare al massimo tutti i possibili contatti con l’esterno. E su questo fronte è già stato fatto molto, la cosa che più preoccupa gli addetti è che, per quanti sforzi essi possano fare, lo sviluppo della malattia non dipende da loro ma da una concausa di fattori, in primis la diffusione dei cinghiali per cui è necessario attivare un piano per il loro contenimento.
Ma la Psa non ha colpito soltanto gli allevatori delle aree interessate ma pesantemente anche tutta l’industria di trasformazione come ha spiegato il rappresentante di Assica presente all’incontro, Cristiano Loddo, che intanto ha puntualizzato come da alcuni anni a questa parte la produzione di prosciutti DOP sia scesa da 9 a 7 milioni di cosce. Quindi ha rivolto un appello a lavorare tutti insieme con un impegno coordinato tra pubblico e privato per contenere i danni della PSA e per la salvaguardia della salumeria italiana che nel corso degli ultimi due anni ha subito perdite ingenti per oltre 500 milioni di euro. Perdite che rischiano di diventare ancora più consistenti se il problema della PSA non verrà risolto alla radice con un’unica parola d’ordine: eradicazione. Inoltre, si rende necessario un piano di intervento e recupero della competitività della suinicoltura nazionale per un suo rilancio sul piano interno e per un potenziamento dell’export della salumeria di eccellenza che ne deriva.
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