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Sindacale Economico

Boselli: Carne coltivata e zootecnia, coesistenza possibile?

Occorre valutare tutti gli aspetti: etici, economici e sociali

Carne coltivata in laboratorio

La carne coltivata potrà entrare in competizione con quella tradizionale?

Tra i molti temi innovativi che stanno facendo molto discutere le imprese agricole ma che hanno un approccio importante con la società ed i consumatori quello della “carne coltivata” ha senza alcun dubbio un impatto notevole. Sui consumatori soprattutto per le implicazioni etiche, nutrizionali e sociali che comporta, ma anche sui produttori per il timore che possa mettere in crisi un comparto consolidato e tradizionale della nostra cultura alimentare ed economica.

Antonio Boselli, presidente di Confagricoltura Lombardia, ha affrontato il tema in un convegno con la presenza di diverse organizzazioni e portatori di interesse diversificati.

“Benché rappresentante di una organizzazione di categoria specifica, ha detto Boselli, penso che sia necessario avere un approccio laico ed aperto verso tutte le problematiche che riguardano importanti innovazioni e cambiamenti di consolidate abitudini sociali. Però è necessario studiare nel dettaglio tutte le implicazioni che questi cambiamenti possono apportare. Nel caso specifico: in primo luogo, possibili implicazioni sugli aspetti nutrizionali e salutistici che ne potrebbero derivare per i consumatori. Poi il gradimento che queste nuove fonti proteiche potrebbero avere in termini organolettici ed il loro costo. Ancora, valutare se la loro produzione può essere più rispettosa dell’ambiente sia in termini di emissioni che di impiego di energia e acqua ed infine se si può trattare di una produzione sostenibile anche da un punto di vista economico. Solo con una panoramica così completa, conclude Boselli, penso che sarà possibile esprimere una valutazione ponderata”.

In effetti il pensiero di Antonio Boselli è in linea con posizioni più generali espresse da Confagricoltura e che riguardano un approccio di apertura alla scienza che deve essere vista come un asset strategico per il miglioramento delle condizioni di vita dei consumatori ed al servizio dei produttori.

“E’ esattamente così, rimarca il presidente di Confagricoltura Lombardia, non si può, e nemmeno vogliamo, fermare il progresso che deve andare a beneficio di tutti. Non dimentichiamo le nostre posizioni assunte sin da subito a favore delle tecnologie innovative sulla ingegneria genetica. Ora quelle organizzazioni agricole che si erano opposte strenuamente sono a favore. Il risultato è che abbiamo perso una ventina d’anni di progresso genetico e ancora ne stiamo pagando le conseguenze. I ritardi sulla liberalizzazione delle NBT sono in buona misura dovuti a quell’approccio ideologico”.

Il nostro paese e l’Europa hanno strutture scientifiche come l’Efsa in grado di studiare approfonditamente problemi di questa natura e fornire le migliori indicazioni al riguardo, anche e soprattutto in termini autorizzativi. Il principio di precauzione non deve diventare il paravento di culture ideologiche estreme. E poi spingendosi anche un po' oltre non è detto che non possano nascere nuove opportunità anche in ordine economico ed organizzativo per la nostra categoria.

Importante è non lasciare che si possano sviluppare oligopoli o monopoli nel settore agroalimentare. Questo é il rischio da evitare accuratamente.

Sia pure con un approccio diverso il tema è stato dibattuto dal Dipartimento di Studi linguistico letterari, storico filosofoci e giuridici dell’università degli studi della Tuscia di Viterbo. L’evento ha offerto un’ampia panoramica sulle potenzialità, criticità e sfide poste da questa tecnologia emergente in cui oltre alle implicazioni di natura economiche e sociali si è affrontato il tema anche dal punto di vista lessicale.

Tra le varie considerazioni, è interessante uno spaccato di alcune categorie di consumatori e del loro approccio verso questo tema. Eccone una sintesi, così come riportata da una rivista specializzata.

Gli onnivori, possono approcciare la “carne coltivata” con una mentalità più aperta, soprattutto se il prodotto si dimostra competitivo in termini di prezzo e gusto rispetto alla carne tradizionale. Tuttavia, vi sono diverse sfide. La “carne coltivata” dovrà affrontare non solo l’accettazione gustativa (che al momento sembra ancora un traguardo lontano), ma anche preoccupazioni riguardanti la salute, la sicurezza alimentare e l’autenticità. Inoltre, i legami con la tradizione e la secolare cultura alimentare, renderanno difficile, se non impossibile, la transizione per molti onnivori. Pertanto, il successo commerciale della “carne coltivata” dipenderà da come sarà posizionata nel mercato e dalla sua capacità di convincere i consumatori della sua superiorità rispetto alle alternative convenzionali.

I flexitariani, ovvero quei vegetariani “flessibili”, cioè poco convinti della loro scelta di non mangiare del tutto la carne (per cui se la concedono ogni tanto) rappresentano una categoria particolarmente interessante. Data la loro flessibilità alimentare, potrebbero essere interessati a sperimentare nuovi prodotti e a ridurre il consumo di carne tradizionale. La “carne coltivata” potrebbe essere percepita come un’alternativa più etica, e quindi potenzialmente integrabile nella loro dieta. In ogni caso, il prezzo e la disponibilità del prodotto rimarranno fattori determinanti nelle scelte di acquisto.

Per i vegani e vegetariani, la “carne coltivata” non rappresenta una soluzione accettabile, poiché, sebbene si tratti di un prodotto innovativo, viene comunque ottenuta a partire da cellule animali. La filosofia vegana si basa su un rifiuto totale dell’uso degli animali per scopi alimentari, e ciò include anche l’idea di sfruttamento che è percepita come intrinsecamente sbagliata. Pertanto, anche se la “carne coltivata” potrebbe essere vista come un modo per ridurre la sofferenza animale e l’impatto ambientale dell’allevamento tradizionale, i vegani potrebbero considerare la sua produzione come una continuità di pratiche che vanno contro i loro principi etici.

Dunque stando a questa classificazione ed ai costi sembrerebbe che l'avvento delle "carni coltivate" sulle nostre tavole non sia tanto prossimo.

 

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